Lontana ma non distante, la Lucera di un tempo continua ad animare lo scorrere di un “come eravamo“, che per molti è nostalgia pura. E dal vivo della memoria, più o meno consapevole, scaturiscono immagini che possono contrapporsi all’attuale versione di ognuno di noi, e di quello che rappresentiamo e riusciamo a fare anche come insieme di cittadini.
In questi giorni del mese di agosto, che hanno come fulcro le feste patronali, ci solleticano, così, ricordi che appartengono a un mondo ormai scomparso e impossibile da ricreare. Schegge del passato in cui ritroviamo “le giostre“ (il luna park) – perché di questo vogliamo parlare – posizionate lungo il viale principale della villa comunale. Un allestimento che contava su un numero ridotto di attrazioni che non offrivano (e non se ne cercavano) esperienze troppo adrenaliniche, ma un divertimento semplice e, forse, romantico.
La ruota panoramica, agli occhi dei bambini si ergeva maestosa ed altissima ad aprire un percorso di festa, la passeggiata tra luci al neon, zucchero filato, il cocco, i pesciolini rossi da vincere alle bancarelle e l’immancabile tiro a segno. Un’atmosfera paesana e, comunque, attesissima.
Ma a dominare erano i decibel degli impianti audio e la musica (e che musica) che spargevano dagli altoparlanti. È opinione comune che la potenza maggiore erano gli amplificatori dell’affollato autoscontro, a metà viale, a diffonderla. In un periodo in cui la disco music propriamente detta non ancora appariva all’orizzonte, in villa comunale, risuonavano le note di canzoni quasi tutte consegnate, poi, alla storia.
Tra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta, quando la musica girava attraverso canali molto ridotti, i pochi programmi in onde medie della Rai, quelli di Radio Montecarlo, quando si beccava, e i rari, almeno in provincia, negozi di dischi, “le giostre“ consentivano, spesso, di conoscere le novità degli ultimi mesi, perché i gestori amavano tenersi molto aggiornati. Lì, si ascoltavano di continuo cose nuove, dando retta ai ricordi di quelli che all’epoca erano più grandicelli e la passione per la musica la praticavano anche costituendo complessini tra amici.
Quel crogiuolo di suoni, in cui si coglievano le suggestioni del pop internazionale, le asprezze del rock-blues e i diversi campioni della musica italiana alle prese con linguaggi nuovi, prendeva forma la colonna sonora di una gioventù che cercava la propria identità, superando i limiti imposti dal conformismo di paese, sugli echi di Woodstock e dell’Isola di Wight.
Da una parte In the summertime dei Mungo Jerry (1970), Whole lotta love dei Led Zeppelin (1968), da un’altra Ob-la-di ob-la-da dei Beatles (1968), Venus degli Shoking Blue (1969), My sweet lord di George Harrison (1970); mentre, più in là nei woofer esplodevano Paranoid dei Black Sabbath (1970), Black night dei Deep Purple (1970), Molina dei Creedence Clearwater Revival (1970). Senza dimenticare Rocket man e Crocodile rock di Elton John (1972), Flash dell’italianissimo The Duke of Burlington (1970), Ragazzo triste di Patty Pravo (1970), Acqua azzurra acqua chiara di Lucio Battisti (1970). Ma c’era anche Superstition di Steve Wonder (1972), The locomotion dei Grand Funk Railroad, ed era già il 1974.
Titoli appresi, ovviamente, tempo dopo, cercando e ascoltando per identificare e riordinare quei ricordi rimasti nelle orecchie di ragazzini affascinati dalla scoperta di un mondo che conteneva già molti significati e lunghe strade da percorrere.
SUNDAY RADIO – IL BLOG