La pace è l’unica vittoria. Il 4 novembre 1918 si levò un grande sospiro di sollievo, per la fine di un incubo spaventoso costato, in 41 mesi di ostilità, 650mila morti e 1 milione di feriti e mutilati. Anche quelli che sopravvissero portarono per sempre nell’anima le ferite impresse dal terrore e dagli stenti patiti nella dura esperienza della vita di trincea.
Quella guerra così distruttiva, come mai ce n’erano state prima e nella quale le nazioni belligeranti buttarono ogni risorsa, sia umana che materiale, segnò la fine di un’epoca, cambiò il volto del mondo e seminò i presupposti letali dai quali sarebbero derivate altre grandi tragedie.
La guerra, in tutte le sue forme, è la più grande delle ingiustizie; è la negazione di ogni palpito di umanità; e si accanisce, in primo luogo, contro i più deboli, le donne, gli anziani, i bambini, la popolazione inerme. Le vittime di sempre.
Oggi, la guerra in Ucraina e il riaccendersi del conflitto israelo-palestinese e l’invasone di Gaza stroncano la vita di migliaia di innocenti; tante sono le voci che mettono in guardia sul rischio di una conflagrazione più estesa, in quanto simili sarebbero le condizioni a quelle del 1914. Allora, una crisi regionale nei Balcani, apertasi con l’attentato di Sarajevo, che poteva essere circoscritta e avviata verso una soluzione mediata dalla diplomazia, sfociò nell’apocalisse mondiale quando la Russia zarista, grande sponsor del panslavismo professato dal nazionalismo serbo, decretò la mobilitazione, ancorché parziale, a seguito del bombardamento austro-ungarico di Belgrado. Quella mobilitazione innescò le paure di accerchiamento – Francia da una parte e Russia dall’altra – della Germania, alleato di ferro dell’Austria Ungheria, che mise mano alle dichiarazioni di guerra. Tutti volevano evitarla, quella guerra, ma tutti la fecero; ed essa, sul sangue di milioni di morti, determinò la decadenza dell’Europa, l’ascesa geopolitica degli Stati Uniti, la ridefinizione del concetto di occidente e la rivoluzione bolscevica. Era un altro mondo. E un altro ordine mondiale, secondo alcuni, è la prospettiva verso la quale non pochi vorrebbero portare il destino di tutti noi.
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