Possiamo dire che Lucera sia diventata una città che vive di cultura? Risposta affermativa. Siamo totalmente circondati, immersi, attraversati, pervasi dalla cultura. Negli ultimi tempi, grazie all’opera indefessa di tutti, si è avuto il completamento di una metamorfosi, ormai, nota a tutto il globo terracqueo. Nella città della cultura, avvengono veri e propri prodigi. La cultura, a Lucera, è immanente; si respira nell’aria.
La mattina, appena messo il naso fuori dalla porta, impariamo un intero volume della Treccani e ci accorgiamo di conoscere concetti e parole che solo qualche ora prima ignoravamo. E tutto avviene in automatico, per osmosi spontanea.
Per strada, incontrandoli, diciamo “ciao“ ad amici e conoscenti e quelli rispondono declamando versi, “sempre caro mi fu quest’ermo colle e questa siepe…“, dice uno; e un altro, “essere o non essere, questo è il dilemma…“. Dai balconi e dalle finestre sentiamo echeggiare “la donzelletta vien dalla campagna in sul calar del sole, col suo fascio dell’erba…“; e poi, “l‘albero a cui tendevi la pargoletta mano, il verde melograno da’ bei vermigli fior…“. Lo slancio poetico contagia tutti, grandi e piccini, passa da mente a mente da cuore a cuore, da nervi a nervi, abbattendo i muri della pigrizia. Una mirabile esplosione di lirismo, in ogni saluto, in ogni accenno col capo.
Andiamo a fare la spesa al supermercato, la fila per pagare è lunga. Mentre “passa“ i prodotti, la cassiera recita con voce teatrale, da fare invidia al Gassman dei tempi migliori, “poscia ch’io ebbi il mio dottore udito nomar le donne antiche e’ cavalieri…“. “Pietà mi giunse, e fui quasi smarrito…“, continua immediatamente all’unisono la massa dei clienti, come fedeli in una sacra navata, durante il rosario. Un teatro.
Fuori, sono forsennati i latrati di un cane. Una donna chiede al padrone, “ma cos’ha?“. “Non l’ha capito? – risponde quello – è fissato per l’Orlando Furioso, lo abbaia a memoria, e non riesco a farlo smettere“. Incredibile.
La geografia di piazza Duomo, poi, rivela intrecci di insospettabile sapere, in ogni angolo, su ogni basola. I classici quattro amici al bar, seduti davanti alle tazzine del caffè, ci illuminano con le similitudini che colgono in opere teorizzanti città ideali, La Repubblica di Platone, La Città del Sole di Tommaso Campanella, Utopia di Tommaso Moro e, qualcuno azzarda, La Città di Dio di Agostino di Ippona. La cultura è azzardo, in effetti. Estasi, all’ombra delle severe architetture angioine della Cattedrale, mentre, un gruppo si inebria con i principi della Termodinamica e il Teorema di Bernoulli, altri si interrogano sul Nastro di Mobius e, dopo la terza birra, c’è chi accenna ai Rumori di Korotkov. Coram populo. “Guai a voi, anime prave!“, urla un tipo uscendo dalla chiesa, ma prima era stato in un pub.
Intanto, issati sulla panchina gigante del terzo viale in villa comunale adolescenti, braccia al cielo, sguardo diritto verso la Fortezza, cantano “We don’t need no education, we don’t need no thought control“, un vero programma politico, prima che un sempiterno inno generazionale. Commozione pura, fino alle lacrime.
Ma Federico II, sempre sulla bocca di tutti? Ne parliamo un’altra volta; anche perché un anziano – sembra il vecchio della copertina di Aqualung dei Jethro Tull – ci fissa e vuole dirci qualcosa con espressione arcigna, a un angolo di strada. “Sapete cos’è la tabacchiera anatomica?“. Aiuto, non finisce più. Continua? Non si sa.
Cum grano salis.
SUNDAY RADIO – IL BLOG