LA FORTEZZA DI LUCERA, IL VIRUS E L’ASSEDIO DELLE MENTI

La Fortezza svevo-angioina di Lucera è un luogo solitario, ma non remoto. Ed è un simbolo identitario di una comunità, anche se non riconosciuto da tutti, nel quale è sempre appagante, sul piano emotivo e sentimentale, immergersi; raggiungerla per stare con se stessi. La luce bellissima scolpisce le antiche pietre, tramutando le austere architetture militari in un vero incanto poetico. Perché qui risiede un bel pezzo della nostra anima, che reclama il suo diritto alla tranquillità e alla bellezza. E quanta bellezza i nostri occhi colgono su questo mirabile palcoscenico.

In un luminoso anticipo di primavera, in cielo, due piccoli rapaci, forse gheppi, disegnano traiettorie circolari, in attesa, con occhio acuto, di scorgere, tra l’erba, prede da ghermire. I due volatili si lanciano brevi richiami che appartengono al rituale della caccia; nuvole, così alte, cirri, da sembrare immobili, sono come scie di zucchero nel profondo azzurro. Tutt’intorno, la calma è appena insidiata da una leggera brezza. Il resto dell’umanità è lontano, ridotto a brusio appena percepibile e a movimenti fuori fuoco.

I passi smuovono la ghiaia; si cammina al fianco della storia, si lambisce il suo senso: qui ne è passata tanta. La Fortezza rappresentava il potere esercitato su un ampio territorio e la difesa di esso. E’ facile immaginare, al cospetto di mura plurisecolari, la fiumana di uomini coinvolta negli eventi che qui sono accaduti, la vita quotidiana, la guerra, le carestie, le epidemie, l’amore, la morte.

Una Fortezza che resiste, perché solida, eretta per sfidare il tempo. Una Fortezza rassicurante nella sua maestosità, potente e viva nel suo indubbio significato simbolico, sorgente di memoria che ci accoglie, oggi che vogliamo estraniarci, disperderci, allontanarci da una follia che ha messo l’assedio non a queste o ad altre mura, ma alle menti, attanagliate dall’insicurezza; e non perché vi siano schiere di armati alle viste. Minacce invisibili evocano pericoli imminenti e risvegliano paure ataviche, scritte nel nostro inconscio. Attori si agitano per estorcere a quella paura un lasciapassare per la credibilità, ma è solo un bluff; l’imbroglio, il solito e volgare imbroglio, come strumento per cercare consenso. Non ci sarà la fine del mondo; non ci saranno scenari apocalittici. Chi ha il compito di intervenire, su una questione che comunque è seria, lo sta facendo con sapienza e senza pretendere l’applauso, che pure merita. Allora, rompiamo l’assedio; diamo libertà alle menti e liberiamoci dei profittatori che, in ogni dove, ballano sul terrore altrui.

I due probabili gheppi continuano a volteggiare, fendono l’aria, padroni della loro maestria, sicuri che la pazienza sarà premiata. A ognuno il suo mestiere. Guardiamo ancora il severo profilo della nostra amata Fortezza, che si allunga nella teoria delle torri, fino a quella della Regina, che è come un diamante al centro di una corona. Appunto, una corona, adagiata sulla sommità della collina, sentinella imperitura, a ricordarci chi siamo e ciò che dobbiamo difendere dalle paure e dalla stupidità.

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