Il rito del ritorno – animum debes mutare non caelum

Lucera ha riaccolto i suoi cittadini che vivono fuori, in occasione delle festività pasquali. Sono tanti e sono soprattutto giovani, che lavorano e studiano lontano da casa. In questi giorni, hanno aggiunto vivacità, voce e colore ai tradizionali luoghi di aggregazione. Il rito del ritorno, per stare con i propri cari, si consolida e, forse, si ingrossa, perché il dramma dell’emigrazione continua; benché ci siano quei pochi che, potendo farlo, tornano per rimanere.

Il Mezzogiorno perde forze, idee ed energie, in un contesto in cui, spaventosamente, aumentano le diseguaglianze e la povertà. Oggi, anche il cosiddetto ceto medio, qui e altrove, deve fare i conti con un drastico restringimento dei margini di sicurezza economica. E non sembrano arrivare risposte adeguate dall’azione del Governo nazionale che, anzi, ha pure smantellato una misura di sostegno come il reddito di cittadinanza, àncora di salvezza per non poche famiglie negli anni scorsi; e peccato che questo, nel discorso pubblico, siano in troppi a non ammetterlo. La capacità di spesa di molti è diminuita, a sentire gli esercenti commerciali. Se, poi, consideriamo l’insano progetto dell’autonomia differenziata, la secessione dei ricchi, che può distruggere l’unità del Paese, e l’attuale orientamento della politica estera, verso posizioni che, in Europa, non stanno escludendo la possibilità di una guerra di dimensioni continentali, si può facilmente capire come il futuro (“siamo in una nuova era“) sia quanto meno nebuloso per gli strati di popolazione che già fanno i salti mortali per mettere insieme, come si dice, il pranzo con la cena e con figli da crescere e mandare a scuola. In prospettiva, stando al tam tam politico giornalistico, sarà inevitabile l’aumento delle spese militari, che non potrà che causare tagli allo stato sociale, che significa meno sanità pubblica, meno scuola, meno trasporti, meno risorse per i territori e ripercussioni immaginabili sulle condizioni di vita delle fasce più deboli, cioè per tanti meridionali.

Tornare a Lucera – dice Anna (nome di fantasia), impiegata in Emilia Romagna – è sempre bello e necessario, la famiglia di origine rappresenta un legame forte che non può venire meno, ma ho costruito una vita in un’altra regione che, anni fa, mi ha offerto opportunità che qui potevo solo sognare, perché facevo la commessa con un compenso mensile che era difficile definire stipendio“. Antonio (nome di fantasia), invece, vive in Toscana: “Prima di trasferirmi, ho lavorato senza tutele, senza ferie e senza orari. A trent’anni, volevo qualche certezza per il mio futuro. Le difficoltà non sono poche, come quella di trovare un alloggio a prezzi e condizioni decenti, ma, in genere, non si ha a che fare con una mentalità padronale che concede sempre troppo poco e pretende tutto“.

Parole, come quelle di tanti altri emigrati, che sono distillati di storie fiorite lontano, con determinazione e sacrificio, in scenari socio economici diversi, per vedere riconosciute le proprie qualità e competenze. Parole che, nel tempo, sentiremo ancora, un refrain della nostalgia e del rammarico.

Rimangono, tuttavia, sempre le stesse domande. Ci sarà la possibilità di invertire la tendenza? Lo Stato se ne farà carico? La gestione della cosa pubblica, al Sud, riuscirà ad abbandonare percorsi non di rado discutibili, per non dire altro, tenendosi lontana dai comitati di affari e dai gruppi di pressione frequentati da gente non sempre rispettabile?

Animum debes mutare non caelum, ci esorterebbe ancora Seneca.

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