Quel Mundial la Nazionale lo vinse perché si accorse di avere un’anima e, per non farsela rubare, quell’anima, la difese da tutto e tutti. La pattuglia azzurra era partita per la Spagna tra le polemiche per le scelte del Commissario tecnico e per il gioco deludente; e tra le polemiche, nel frattempo diventate anche cattiveria pura, era rimasta, almeno per tutta la prima fase.
Quando, arroccata su se stessa e in silenzio stampa – parlava solo Zoff, notoriamente uno di poche parole – la squadra di Bearzot sbaragliò, con incredibile forza mentale e fisica, Argentina, Brasile e Polonia, aprendosi la strada della finale di Madrid contro la Germania Ovest, si capì che gli dei del calcio, probabilmente, da qualche parte, facevano il tifo per noi. Stretti “a coorte” si poteva continuare ad osare, fino alla fine.
L’Italia di quel 1982 era un Paese che cercava di uscire da anni tumultuosi. A Palazzo Chigi, c’era il repubblicano Giovanni Spadolini, il primo presidente del Consiglio non democristiano, sostenuto dall’inedito pentapartito (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli). La nostra democrazia era ancora esposta ai colpi del terrorismo e alle torbide manovre dell’antistato. A gennaio, un blitz delle teste di cuoio della Polizia aveva portato alla liberazione, a Padova, del generale statunitense Lee Dozier, rapito dalle Brigate Rosse; mentre, a giugno, sotto un ponte sul Tamigi, a Londra, era stato ritrovato il corpo di Roberto Calvi, il banchiere con troppe relazioni pericolose nell’ombra dell’Italia dei misteri. A settembre, killer della mafia avrebbero ucciso il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo.
Nello sport, la Ferrari piangeva l’indimenticabile Gilles Villeneuve e, in agosto, il Cavallino avrebbe perso anche Didier Pironi, costretto al ritiro da un grave incidente. Franco Uncini andava verso la conquista del motomondiale nella classe 500 e Giuseppe Saronni avrebbe indossato la maglia iridata di ciclismo sulle strade di Goodwood, in Inghilterra.
La sera dell’11 luglio 1982, crocevia della storia, in terra di Castiglia, gli Azzurri si percepirono finalmente come squadra sostenuta dall’intera nazione; non erano soli. Così, prima l’inesorabile Rossi, poi Tardelli e, infine, Altobelli piegarono la resistenza dei supponenti panzer. “Campioni, Campioni, Campioni”, gridò, dai microfoni Rai, Nando Martellini: l’Italia, con tutte le sue contraddizioni, era quella che trionfava sotto il cielo del Bernabeu, mentre Zoff alzava la Coppa sul mondo e il presidente Pertini spargeva la sua simpatia come acqua santa della vittoria.
“Campioni, Campioni, Campioni”, una grande storia italiana. Sarebbe successo ancora, ma non come quella volta di quarant’anni fa.
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