5 luglio 1982 – un torrido pomeriggio di torcida e gloria

Rossi con Junior (foto dal Web)

Sono passati quarant’anni da quella vittoria storica. Il 5 luglio 1982, la Nazionale esplose con un fragore di leggenda. Al Sarrià di Barcellona, da vittima sacrificale di un Brasile considerato tra i più forti di sempre, il manipolo di reietti in maglia azzurra sovvertì ogni pronostico; cancellò quella legge del più forte che Zico, Falcao, Eder, Cerezo e Junior si erano cuciti addosso, quasi per diritto divino, nel corso di un mundial che avevano bombardato a suon di goal.

Tutto era già scritto, niente avrebbe disturbato l’incedere maestoso della Seleçao di Telè Santana; nessuno avrebbe potuto mettersi tecnicamente di traverso. L’Italia aveva un solo destino: morire e tornare a casa per subire la gogna inevitabile, come già era successo in passato.

Ma, in quel torrido pomeriggio di torcida, nello spazio angusto sul quale solitamente andava in scena il meno nobile calcio catalano dell’Espaniol, il Mistero tentò un colpo di mano. Furono tre siluri alla criptonite a dettare la resurrezione di colui che, a ragione, avevamo amato, che, a ragione, avevamo aspettato. Pablito era finalmente tornato; aveva stracciato le vesti dell’eroe decaduto e indossato il sorriso infantile di chi è consapevole di averla fatta grossa. E, quella, era una cosa grossa, grossissima, un danno immenso all’orgoglio verdeoro e un bel pezzo di felicità regalato ad un Paese, il suo, che immediatamente ripensò al 4-3 rifilato alla Germania Ovest a Mexico 70, tanto per rimanere nella leggenda.

La più grande impresa del Calcio Italiano prendeva forma, ancora sei giorni e Enzo Bearzot, Paolo Rossi e tutti gli altri Azzurri, con la benedizione del presidente Pertini, sarebbero entrati nel Pantheon degli italiani più amati di sempre.

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