
Il vandalismo che non si arrende. Quello che lascia continui segni come forma di dissenso inconsapevole rispetto alla costruzione di una coscienza civile. Spesso, nella nostra città, si dice siano gli adolescenti ad accanirsi contro l’arredo urbano; si pensi a quello che succede in villa comunale. Si distrugge perché è sconosciuto il senso della partecipazione alla salvaguardia del bene comune e della realizzazione di se stessi come cittadini. Le amministrazioni civiche – è vero – non sono puntuali nella cura di determinati luoghi; non mostrano di saper aggiungere qualcosa in più a interventi che sembrano stentati, ma non si possono accettare gli atti vandalici o i comportamenti negativi dettati dalla maleducazione, dal menefreghismo e dalla voglia di “divertirsi“, facendo danni a scapito di tutti, in poche parole, dalla perdita di valori. Ma perché? Un mondo, quello dei giovani, che sembra indecifrabile, visibile a squarci e, costantemente, sensibile alle ammalianti sirene del consumismo. Un mondo non considerato nei termini opportuni da tutte le istituzioni e che non si può escludere, se si vuole garantire l’integrità della prassi sociale.
Scrive Umberto Galimberti: “I giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che caratterizzano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui. Le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare, solo il mercato si interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento e del consumo, dove ciò che si consuma non sono tanto gli oggetti che di anno in anno diventano obsoleti, ma la loro stessa vita, che più non riesce a proiettarsi in un futuro capace di far intravedere una qualche promessa. Il presente diventa un assoluto da vivere con la massima intensità, non perché questa intensità procuri gioia, ma perché promette di seppellire l’angoscia che fa la sua comparsa ogni volta che il paesaggio assume i contorni del deserto di senso. Interrogati non sanno descrivere il loro malessere perché hanno ormai raggiunto quell’analfabetismo emotivo che non consente di riconoscere i propri sentimenti e soprattutto di chiamarli per nome“.
Il filosofo descrive, quindi, un contesto interiore dominato dalla solitudine e dall’autoesclusione, tipiche di un individualismo esasperato, probabilmente sconosciuto alle generazioni precedenti, che si rivolge all’unico generatore simbolico di tutti i valori, che nella nostra cultura è, ormai, il denaro.
Aspetti che devono far riflettere.
SUNDAY RADIO – IL BLOG