Lucera 1917 – la rivolta delle Popolane che devastarono Palazzo di Città

RIGHE DI STORIA

La rivolta per il pane

Un giorno di rabbia e di rivolta, quel 23 aprile 1917, a Lucera. Gli stenti della vita quotidiana armarono la mano delle popolane che presero d’assalto la sede del Comune. Per la fame.

L’Italia era in guerra da quasi due anni, con gravi difficoltà negli approvvigionamenti. Molte zone del Paese erano a rischio carestia. Gli uomini erano al fronte nelle trincee e vivevano in condizioni miserrime, fianco a fianco con la morte. Dal Comando Supremo, il generale Cadorna aveva giudicato immorale la decisione del Governo di cominciare l’economia sul pane proprio dai soldati, la cui razione, nell’estate 1916, si era ridotta da 750 a 600 grammi al giorno. La produzione di cereali era diminuita considerevolmente e molte terre erano incolte o destinate ad altre colture per mancanza di sementi. L’aggravarsi della situazione aveva portato a nuove restrizioni, che erano andate in vigore dal 1° gennaio 1917; e altre ne erano seguite, per evitare gli sprechi alimentari, in quell’inverno che era stato freddissimo. Il razionamento, da attuarsi con l’introduzione di una tessera che assegnava alle famiglie povere poche centinaia di grammi di pane, di zucchero e una quantità di petrolio al giorno, a Lucera, trasformò l’esasperazione in tumulto popolare.

Si racconta che furono donne del quartiere Alle Mura, bastoni alla mano, a mettersi a capo di una protesta del tutto spontanea, senza alcuna premeditazione politica, solo dettata dalla miseria, che portò alla devastazione del Municipio; quella moltitudine urlante e minacciosa, riversatasi nelle strade, contestava i criteri e le modalità di attribuzione della tessera (“la tessera della fame”). Secondo le testimonianze, a Palazzo di Città, furono distrutti e buttati gli arredi dai balconi, bruciati documenti e quelli dello stato civile e della leva militare; il sindaco, Francesco Paolo Curato, fu aggredito e rinchiuso in uno stanzino (o in un armadio, secondo altri). Una delle promotrici, con piglio barricadiero, impugnava una canna, alla cui estremità aveva legato il suo grembiule di massaia, e la agitava come fosse una bandiera. Quella della disperazione.

A seguito di quei drammatici eventi, il Sindaco rassegnò le dimissioni; sciolto il Consiglio comunale, la civica amministrazione passò nelle mani del regio commissario prefettizio Francesco Montuori.

Dopo gli arresti operati dalla forza pubblica, un centinaio di persone, in massima parte donne, finirono sotto processo; cinquantuno furono rinviate a giudizio e quarantanove prosciolte per insufficienza di prove. Un’amnistia, tuttavia, fu concessa alle imputate che tornarono libere alle loro case. Avevano agito perché spinte da un’esistenza di privazioni.

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