L’efferato assassinio del quindicenne Anteo Zamboni

Anteo Zamboni all”età di dieci anni

RIGHE DI STORIA

Bologna, 31 ottobre 1926, uno degli attentati più oscuri e indecifrabili del Ventennio fascista.

Benito Mussolini è in città per inaugurare il nuovo stadio del Littoriale. Al termine della giornata, il duce si dirige in auto verso la stazione per tornare a Roma. All’angolo di via Rizzoli con via Indipendenza, tra la folla, qualcuno spara; il proiettile trapassa il bavero dell’uniforme del capo del Governo, senza ferirlo. Un gruppo di squadristi, agli ordini di Arconovaldo Bonaccorsi, ras tra i più estremisti di Bologna, aggredisce e uccide senza pietà il quindicenne Anteo Zamboni (1911-1926), con quattordici pugnalate e un colpo di pistola. Perché questa reazione? È stato realmente l’adolescente? Perché questa giustizia sommaria? Perché non arrestarlo come tutti gli altri? Non poteva essere più utile alla polizia da vivo? Ma nessuno si fa domande e indaga oltre la mera apparenza. Eppure, sarebbe bastato poco.

Nell’Archivio centrale dello Stato, in anni più recenti, è stata rinvenuta una lettera anonima indirizzata al ministro degli Interni dell’epoca, il nazionalista Federzoni. La missiva adombra precisi sospetti su un gruppo di fascisti di primo piano, Dumini, Calza Bini, Farinacci, definiti emissari della Massoneria. Mentre, in un’altra lettera, un pentito che ha preso parte al complotto afferma: “Il giovanetto Zamboni non era che uno strumento e doveva, appena fatto il colpo, essere ucciso”. E ancora, Carlo Alberto Pasolini, padre di Pierpaolo, poliziotto in servizio a Bologna, presente al momento del fatto, scopre che la pistola di Zamboni, una 7,65, risulta inceppata. Una tesi avvalorata da molti testimoni, per i quali il vero attentatore sarebbe un distinto signore visto accanto al ragazzo e che sarebbe scomparso subito dopo lo sparo, favorito, sembra, da diversi gerarchi. Infine, è stata scoperta, addirittura, l’autodenuncia anonima del presunto colpevole. È giunta alla redazione del Messaggero di Roma il 5 novembre 1926, che ne ha fornito copia immediata a Mussolini. “Sono stato io, prego pubblicare. Prima di lasciare l’Italia, desidero rivendicare la memoria di quel poveretto cui devo eterna riconoscenza. Egli mi ha salvato, non tenterò più”.

Chi scrive? Perché, ancora una volta, non si è andato a fondo? Cosa nasconde questo attentato? Il sospetto è che sia stato organizzato dai gerarchi per spingere Mussolini sulla via della piena dittatura e dello stato totalitario. Sta nascendo una fronda interna al movimento fascista? È stato un avvertimento dell’ala più dura e intransigente? Il Duce capisce il messaggio? Sta di fatto che Mussolini non indagherà mai sui gerarchi sospettati.

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