Dal trono del Sacro Romano Impero all’aceto di una grossa botte

Federico Barbarossa

RIGHE DI STORIA

Passare dal trono del Sacro Romano Impero all’aceto di una grossa botte. Quella che erano decisi a trasportare dall’Anatolia verso la Terrasanta i crociati tedeschi, nel giugno 1190; e che, nientemeno, custodiva le spoglie di Federico I di Hohenstaufen, detto il Barbarossa.

L’imperatore tedesco, quasi settantenne, partito nel maggio dell’anno precedente da Ratisbona, in Baviera – stando alle stime, ritenute esagerate di qualche cronista – alla testa di un esercito di centomila armati per la crociata bandita da papa Gregorio VIII contro Saladino, prima di raggiungere Riccardo d’Inghilterra e Filippo Augusto di Francia, morì nelle acque del fiume Salef (oggi, Goksu), nell’antica Cilicia, per cause mai del tutto chiarite.

La morte del potente monarca scoraggiò buona parte del contingente germanico; perché, secondo il giudizio sarcastico dello storico britannico Steven Runciman, “dato il loro strano bisogno di venerare un capo, i tedeschi solitamente perdono lo spirito guerriero quando esso sparisce”. Sta di fatto che alcuni nobili con le loro truppe abbandonarono la spedizione per tornare in Europa, prima di avvistare la Palestina.

A proseguire verso sud, sotto il comando di Federico, duca di Svevia, figlio del defunto, fu un rimasuglio dell’armata, che si portò dietro quella botte di aceto contenente, perché si conservassero fino al momento della sepoltura in Terrasanta, i resti del Barbarossa. Mentre, il cuore, si dice, fu lasciato a Tarso.

Tuttavia, qualcosa andò storto, forse l’aceto era cattivo; e fu deciso, in tutta fretta, di seppellire nella chiesa di San Pietro di Antiochia, il corpo dell’imperatore, però senza le ossa, nell’intenzione di tumularle a Gerusalemme, una volta riconquistata. Ma neanche questo fu possibile. Alla fine, quelle ossa, furono seppellite nella cattedrale crociata di Tiro.

Federico Barbarossa, così, fu l’unico imperatore tedesco a riposare in due cattedrali.

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