Giornata della Memoria – chiediamoci ancora come fu possibile quell’orrore

Auschwitz

Una memoria straordinariamente grande, infinita. Più passa il tempo e più dovremmo sentire la necessità di avere memoria. Bisognerebbe che ognuno di noi avesse la possibilità di salire sul lungo treno del tempo, carico delle pene della Storia, e ritornare, in un continuo e pietoso viaggio, a quei luoghi della disperazione, per guardare le ferite, i corpi ridotti a geografia della ferocia, le anime avvelenate dal terrore. Noi non eravamo lì; non eravamo in Germania, in Polonia, in Cecoslovacchia, in Olanda, in Belgio, in Francia e nemmeno a Roma; così come non siamo mai stati in tutte le città e nei villaggi quando si sia aggirata, in ogni epoca, la bestia dell’odio.

Noi non abbiamo conosciuto i lager, i gulag, l’esaltazione della razza; non abbiamo visto la follia che si è fatta emblema del male e decide chi merita di vivere e chi no, secondo criteri da efficiente piano industriale. Non abbiamo assistito alla consuetudine di vedere uomini ridotti in schiavitù, cancellati persino dalla loro stessa coscienza, dal loro intimo sentire.

I nomi dei campi di concentramento nazisti e di ogni posto dove sia avvenuto lo sterminio di uomini, donne e bambini, perché di altra razza, altra religione, altro credo politico; perché omosessuali, zingari, disabili ci appartengo; sono l’inferno in cui potremmo precipitare ancora. Sappiamo – e nessuno può negarlo – che sono stati uccisi milioni di esseri umani negli anni della Seconda guerra mondiale, quando il nazi-fascismo e in genere i regimi totalitari perseguivano l’idea di un nuovo ordine mondiale. Ma cosa significa, oggi, milioni di esseri umani e quanti sono milioni di esseri umani mandati a morire? Milioni di esseri umani vuol dire milioni di storie, milioni di volti, milioni di nomi, milioni di sogni e speranze spezzati.

Leggere, documentarsi, conoscere anche la cronaca quotidiana delle deportazioni, i massacri, le vicissitudini di tanti innocenti e l’incessante, macabra attività dei crematori è una necessità della memoria, oltre che un dovere civile di fronte alle odierne e pericolose manifestazioni di razzismo, di antisemitismo e di intolleranza verso chi, in qualche modo, è considerato diverso, straniero. Dobbiamo capire come e perché, in Europa, fu possibile il materializzarsi di quell’orrore che, il 27 gennaio del 1945, i soldati dell’Armata Rossa Sovietica scoprirono abbattendo i cancelli di Auschwitz.

Quel grande dolore che calò sul mondo non può diventare indistinto, sfocato; deve essere cosa viva, come un perenne fuoco sacro che illumina la notte dell’Umanità.

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