E’ morto uno degli ultimi Testimoni della Shoah, Nedo Fiano, sopravvissuto di Auschwitz. Nedo Fiano incontrò la cittadinanza di Lucera il 4 febbraio 2008, al Teatro Garibaldi. Per tutti i partecipanti, fu un’esperienza molto commovente. Di seguito, l’articolo da noi pubblicato all’epoca.
Nedo Fiano e il dovere della Memoria
Testimoniare la Shoah come dovere primario della propria esistenza: aver conosciuto Auschwitz non permette di essere qualcosa di diverso. Chissà quante volte lo ha detto in oltre sessant’anni, Nedo Fiano, a se stesso e girando la Penisola, nelle scuole, ovunque si sia sentita la necessità di guardare, con gli occhi dei sopravvissuti, in quell’abisso di orrore senza fine che furono i campi di sterminio.
Nedo Fiano, ebreo fiorentino, classe 1925, nel ’44 deportato ad Auschwitz e poi a Buchenwald, invitato dal Laboratorio Politico Sale della Terra, ha incontrato, il 4 febbraio, la cittadinanza al teatro Garibaldi per presentare il suo libro “Il coraggio di vivere”.
Unico sopravvissuto di un nucleo famigliare di undici persone, ha raccontato, spesso commosso fino alle lacrime, il periodo di permanenza nel famigerato lager dove milioni di uomini furono privati della vita e, prima ancora, di ogni dignità. Tutto il suo racconto è risultato permeato dal ricordo della madre, vista come il simbolo di quella spaventosa ingiustizia.
Toccante il momento in cui ha descritto l’ultimo abbraccio con la genitrice, appena scesi, anzi ‘vomitati’ dal treno sulla banchina di arrivo del campo di sterminio, quando furono separati per sempre. La donna ed altre centinaia di persone, vecchi, bambini, malati e disabili, arrivate quel giorno furono subito mandate nella camera a gas, i loro corpi bruciati nel crematorio, le ceneri scaricate nella Vistola, prelibato banchetto per i pesci. I forni crematori funzionavano notte e giorno. Le camere a gas, i forni crematori, le punizioni spesso mortali inflitte col bastone, i dobermann che strappavano i genitali agli uomini e ne leccavano il sangue fino alla morte, le ispezioni vaginali ed anali per accertarsi che non fossero stati occultati oggetti di valore, i denti d’oro strappati: crudo e ricco di particolari angoscianti il racconto di Fiano, come è giusto che sia la testimonianza di chi c’era, di chi ha visto l’inferno e da esso è rimasto segnato per sempre nell’anima. Si salvò grazie alla conoscenza del tedesco insegnatogli dal nonno.
Un giorno, una SS chiese chi parlasse quella lingua perché servivano interpreti per accogliere i deportati che scendevano dai treni. Fiano disse di conoscerla bene e di essere italiano di Firenze, cosa che lasciò piacevolmente sorpresa la SS, che, evidentemente, aveva visitato e ammirato la città toscana. Fu un momento di umanità in un luogo dove gli internati erano considerati meno delle bestie, carne da bruciare.
Ad Auschwitz, i treni dei deportati arrivavano tutti i giorni; alla fine, furono due milioni e mezzo le persone che non tornarono da quell’agghiacciante luogo di supplizio. “Bisogna imparare il valore della libertà e della solidarietà – ha detto Fiano -. Quello che è successo a milioni di innocenti non deve più accadere. Per questo è fondamentale la Memoria”.
“Tempo fa – ha aggiunto – mi sono recato in ospedale per un prelievo di sangue e, quando mi è stato detto di alzare la manica della camicia, la dottoressa, che era lì con me, ha visto sul mio avambraccio il numero di matricola A54O5, chiedendomi cosa fosse ‘quel tatuaggio’. Io le ho risposto che ‘quel tatuaggio’ altro non è che il mio ricordo di Auschwitz. E lei, gelandomi il sangue, mi ha chiesto cosa fosse Auschwitz. COSA FOSSE AUSCHWITZ!!!! – ha urlato Fiano, alzandosi in piedi, quasi piangendo – Capite? Una laureata in medicina non conosceva una delle grandi tragedie del genere umano. Per questo – ha concluso – è importante non dimenticare”.
Sunday Radio, articolo pubblicato il 6 febbraio 2008
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