Campioni – Pietro Maiellaro ricorda Diego Armando Maradona

Maradona e Maiellaro (foto dal web)

Diego Armando Maradona è stato amato come una divinità vivente. A Napoli, non c’è nessuno che pensi che il Pibe sia morto. Un D10S mai morto, che sarà per sempre il Capitano non del Napoli ma di Napoli, l’incarnazione di un miracolo che ha fatto dei napoletani gli adepti di una religione. La mistica del Campionissimo trascende la vicenda sportiva e si fa sostanza per una rivoluzione identitaria di ogni Sud.

Girare per Napoli, per tutta Napoli, significa capire come un’intera città, una città nazione in bilico tra tutto e il contrario di tutto, si sia data come verità assoluta solo la possibilità di venerare, incondizionatamente, lo scugnizzo partito dalla miseria della periferia argentina. Un “Dio sporco“, secondo la definizione di Eduardo Galeano, che scelse di diventare napoletano come se non esistesse, per lui, altro destino. Maradona è Napoli, Napoli è Maradona, questo si vede, si sente e si respira. Questo è; questo sarà.

Ovviamente, Diego ha lasciato in ognuno dei calciatori che ha incontrato in campo, da compagno di squadra o da avversario, una grande impressione. Tra questi, c’è Pietro Maiellaro, un numero 10 autentico, tra i migliori della sua generazione, legato a Maradona per arte e sentimento, oggi Direttore generale del Lucera Calcio.

Ho incontrato Diego molte volte – dice lo Zar a Sunday Radio -. L’ho conosciuto anche bene. Sono stato l’ultimo giocatore avversario che ha abbracciato prima che smettesse di giocare in Italia, nel 1991. Fu al San Paolo, alla fine di un Napoli-Bari. Venne da me e mi abbracciò, chiedendomi perché non avessi tirato io un rigore, assegnato al Bari, che il brasiliano Joao Paulo aveva sbagliato“. Diego pensava, evidentemente, che dal dischetto Pietro non avrebbe fallito, una bella attestazione di stima da parte di colui che i più considerano il più grande di sempre.

Maradona era molto profondo – continua Maiellaro -; aiutava lo spogliatoio; era trainante. Si metteva sempre a disposizione del prossimo; un uomo eccezionale, una personalità straripante. Non ha mai fatto la vittima, perché era caratterialmente molto combattivo; non esitava a mettersi contro il potere, qualsiasi potere“.

Siamo al Comunale di Lucera e, guardando verso un punto indefinito del campo – lo fanno spesso i calciatori o chi lo sia stato, quasi a cercare meglio tra i ricordi, quando di questi sono invitati a parlare, come se nello spazio compreso tra le due porte fosse contenuto tutto il loro patrimonio ideale e di esperienze – l’ex fantasista di Bari, Fiorentina e Palermo non esita a descrivere, e si capisce che desidera farlo, quasi per debito di riconoscenza e di solidarietà, il Maradona uomo-città. “Lui ha rivoluzionato Napoli; ha dato identità al popolo napoletano. Ha trasmesso una mentalità vincente, che prima non c’era, per affrontare il Nord in modo diverso“, e lo dice con rabbia, da calciatore del Sud lanciato in una percussione di forza in area avversaria alla ricerca del goal che vale una vittoria.

E poi, concludendo: “È stata una grande perdita; è vero che ognuno è artefice del proprio destino, ma dispiace per tutto quello che è successo e per come sia finita“.

Una grande prodezza di Maiellaro, queste parole, l’adesione ad un mondo di valori che non coincide con i caratteri e i destini del calcio attuale.

Maradona è il paradiso perduto di chi lo ha visto giocare; ed è la terra promessa di chi non potrà mai vederlo“. Dallo speciale Tg1 andato in onda domenica 28 novembre per ricordare il primo anniversario della morte del Dio del Calcio.

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